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- Le Modifiche al D. Lgs. 81/08
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. In seguito al Decreto-legge 4 maggio 2023 n. 48 (Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro di cui al Capo II – interventi urgenti in materia di rafforzamento delle regole di sicurezza sul lavoro e di tutela contro gli infortuni, nonché di aggiornamento del sistema di controlli ispettivi) il D. Lgs. 81/08 Testo Unico Sicurezza sul Lavoro viene aggiornato. Proseguendo con la lettura potrai trovare gli articoli estratti dalla Gazzetta Ufficiale con un’interpretazione di quelli che sono i cambiamenti entrati in vigore il 5 maggio 2023. ARTICOLO: all'articolo 18, comma 1, lettera a), le parole: «presente decreto legislativo.» sono sostituite dalle seguenti: «presente decreto legislativo e qualora richiesto dalla valutazione dei rischi di cui all'articolo 28;» SPIEGAZIONE: La novità introdotta dal Decreto Lavoro prevede che il datore di lavoro debba nominarlo “per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo e qualora richiesto dalla valutazione dei rischi di cui all’articolo 28”. L’art. 41 dell’81/2008 prevede che il datore di lavoro ha l’obbligo di nominare il medico competente sulla base dei casi previsti dalla normativa vigente, dalle direttive europee nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'articolo 6 della stessa 81/2008. D’altro canto, il Decreto-lavoro introduce la possibilità che tale nomina avvenga anche a seguito della valutazione dei rischi. Sicuramente questa rappresenta un’importante novità, perché consente di poter estendere l’obbligo di sorveglianza sanitaria non solo sulla base dell’81/2008, ma anche a quei casi in cui la valutazione dei rischi ne metta in evidenza la necessità. ARTICOLO: all'articolo 25, comma 1 1) dopo la lettera e) è inserita la seguente: «e-bis) in occasione delle visite di assunzione, richiede al lavoratore la cartella sanitaria rilasciata dal precedente datore di lavoro e tiene conto del suo contenuto ai fini della formulazione del giudizio di idoneità;»; SPIEGAZIONE: Il medico competente dovrà ottenere la cartella sanitaria dal lavoratore (rilasciata dal medico competente del pregresso datore di lavoro) in occasione della visita pre-assuntiva nell’azienda futura. Tale cartella, se il lavoratore ha avuto precedenti attività lavorative, assume quindi un ruolo essenziale per il giudizio di idoneità, ed il medico competente non potrà esprimerlo in assenza di tale documento. ARTICOLO: 2) dopo la lettera n) è aggiunta la seguente: «n-bis) in caso di impedimento per gravi e motivate ragioni, comunica per iscritto al datore di lavoro il nominativo di un sostituto, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 38, per l'adempimento degli obblighi di legge durante il relativo intervallo temporale specificato.»; SPIEGAZIONE: In caso di impedimento del medico competente a svolgere temporaneamente la sua attività, per qualsivoglia motivazione, sarà proprio il medico competente ad indicare il proprio sostituto al datore di lavoro. Novità consistente, che semplifica di molto la fattispecie, dal momento che la norma previgente prevedeva che in tali situazioni il medico competente potesse farsi sostituire da altri colleghi in possesso dei requisiti di cui all’articolo 38, ma solo in seguito alla nomina del datore di lavoro. ARTICOLO: d) all'articolo 37, comma 2, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente: «b-bis) il monitoraggio dell'applicazione degli accordi in materia di formazione, nonché il controllo sulle attività formative e sul rispetto della normativa di riferimento, sia da parte dei soggetti che erogano la formazione, sia da parte dei soggetti destinatari della stessa.»; SPIEGAZIONE: Al datore di lavoro spetta il monitoraggio della formazione (contenuti, verifica finale e verifiche di efficacia della formazione), sulle attività formative ed il suo rispetto da parte degli enti formatori e dei discenti. ARTICOLO: e) all'articolo 71, il comma 12 è sostituito dal seguente: «12. I soggetti privati abilitati acquistano la qualifica di incaricati di pubblico servizio e rispondono direttamente alla struttura pubblica titolare della funzione di vigilanza nei luoghi di lavoro territorialmente competente.»; SPIEGAZIONE: ASL e INAIL potranno avvalersi di soggetti privati abilitati alla funzione di vigilanza e risponderanno direttamente alla struttura pubblica che li ha incaricati. ARTICOLO: f) all'articolo 72, comma 2, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Deve altresì acquisire e conservare agli atti, per tutta la durata del noleggio o della concessione dell'attrezzatura, una dichiarazione auto certificativa del soggetto che prende a noleggio, o in concessione in uso, o del datore di lavoro, che attesti l'avvenuta formazione e addestramento specifico, effettuati conformemente alle disposizioni del presente Titolo, dei soggetti individuati per l'utilizzo.»; SPIEGAZIONE: Per quanto riguarda il noleggio e la concessione di attrezzature la dichiarazione obbligatoria da effettuare non è più solo a carico del datore di lavoro ma anche del semplice soggetto che prenda a noleggio; quest’ultimo deve sempre attestare l’avvenuta formazione e l’addestramento specifico dei soggetti che andranno a utilizzare le suddette attrezzature. ARTICOLO: all'articolo 73, dopo il comma 4, è aggiunto il seguente: «4-bis. Il datore di lavoro che fa uso delle attrezzature che richiedono conoscenze particolari di cui all'articolo 71, comma 7, provvede alla propria formazione e al proprio addestramento specifico al fine di garantire l'utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro.»; SPIEGAZIONE: Vi è dunque l’obbligo di formazione specifica in capo al datore di lavoro nel caso di utilizzo di attrezzature di lavoro per attività professionali e conseguenti sanzioni in caso di inosservanza: ricordiamo che il comma 4 dell’articolo 71 prevede tale obbligo per i lavoratori incaricati all’uso di tali attrezzature, con Il nuovo comma 4-bis viene imposto il medesimo obbligo di formazione e addestramento specifico al datore di lavoro che utilizza egli stesso le attrezzature. ALTRE NOVITA’: Articolo 15 del DL n. 48/2023 prevede Condivisione dei dati per il rafforzamento della programmazione dell’attività ispettiva, viene inoltre istituito il Fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni in occasione delle attività formative e interventi di revisione dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento. Spero come sempre di averti fornito una panoramica completa circa l’argomento trattato, ti ricordo che per qualsiasi informazione io e lo staff di TQSA rimaniamo a disposizione. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Normativa emissioni in atmosfera
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Il 28 agosto 2020 è entrato in vigore il decreto Legislativo n. 102/2020, che ha apportato diverse modifiche inerenti i provvedimenti ordinari sulla questione emissioni, in particolare AUA e AIA, con oneri ricadenti sulle imprese che emettono sostanze inquinanti in atmosfera. Il fine principale è quello di sostituire le sostanze pericolose che vengono emesse nell’aria, ed effettuare una comunicazione chiara e precisa con le autorità competenti. Ne parliamo meglio in seguito. Quali sono le sostanze inquinanti di cui parla la normativa? Tra le minacce troviamo diverse sostanze, in particolare: cancerogene o tossiche per la riproduzione o mutagene (H340, H350, H360); di tossicità e cumulabilità particolarmente elevata; estremamente preoccupanti dal regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006. Qual è lo scopo della normativa? In sintesi, la norma prescrive che le aziende esistenti al 23/08/2020, operino per la sostituzione delle sostanze sopra-descritte non appena possibile, definendo le vie di autorizzazione e comunicazione con le autorità, come di seguito riportato: Data fondamentale è il 28/08/2023, limite massimo entro cui rispettare queste norme, se non si vuole rischiare in gravi penali e chiusure. Il D.Lgs. 102/2020 specifica che tali sostanze “devono essere sostituite non appena tecnicamente ed economicamente possibile nei cicli produttivi” e, tra gli altri obblighi, viene introdotta inoltre la verifica delle sostanze ogni cinque anni a decorrere dalla data di rilascio o rinnovo dell’autorizzazione AUA (Autorizzazione Unica Ambientale) o AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), attraverso l’invio di una relazione all’autorità competente in cui si analizza la disponibilità di alternative, se ne considerano i rischi e si esamina la fattibilità tecnica ed economica della sostituzione delle predette sostanze. Occorre fare una distinzione tra aziende già esistenti al 28 Agosto 2020 e successive, in quanto la normativa prevede regole leggermente diverse. Aziende esistenti al 28/08/2020 Le aziende esistenti al 28/08/2020 che utilizzano sostanze o altri materiali inquinanti estremamente preoccupanti nel ciclo produttivo, e che non siano riuscite a sostituirle, devono presentare entro il 28/08/2023 una domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 269 del D.Lgs. 152/06 (AUA). Aziende nate dopo il 23/08/2020 Per le nuove domande presentate dopo il 28/08/2020, comprese le modifiche ed i rinnovi, vige l’obbligo di: divieto di utilizzo di sostanze e/o miscele classificate come cancerogene, tossiche per la riproduzione o mutagene e quelle classificate come estremamente preoccupanti dal Regolamento (CE) n.1907/2006 REACH. in caso di riclassificazione delle sostanze e/o miscele, entro 3 anni si dovrà presentare Domanda Ordinaria (art.269) oppure comunicare la sostituzione della sostanza/miscela con una alternativa non classificata come cancerogena, tossica per la riproduzione o mutagena e/o estremamente preoccupante dal Regolamento (CE) n.1907/2006 REACH. Quali sono le sanzioni se non viene rispettata? Si tratta di un decreto molto rigido, a cui vanno adempiuti oneri e tempistiche, perché si andrebbe in contro a diversi rischi, tra cui: Violazioni penali: per mancate domande entro il 28/08/2023 della domanda di autorizzazione; Violazioni amministrative per mancata domanda per uso di sostanze riclassificate, entro 3 anni. Diviene molto importante dunque rispettare tale normativa, per non incorrere in penali ben più gravi con il passare del tempo, e peggiorare una situazione ambientale sempre più delicata. Non sai da dove iniziare per rispettare la normativa? Ti aiutiamo noi! Manca molto poco prima della scadenza! Innanzitutto, occorre conoscere nel minimo dettaglio tutte le sostanze e i materiali utilizzati nel proprio processo produttivo, così da avere una chiara classificazione su cosa operare. Dopo di che, serve sapere quali delle seguenti sostanze, rispecchiano un pericolo per l'ambiente e quali necessitano di essere sostituite, tramite domanda all’autorità competenti. Una volta chiariti i rischi e i diversi elementi, occorre predisporre la domanda di AUA da mandare entro il 28/08/2023. Il nostro team può aiutarti! Come? Svolgendo tutte queste fasi, nel minimo dettaglio senza scrupoli, e senza stravolgere il tuo processo produttivo. A partire dall’analisi e classificazione delle sostanze utilizzate, la loro relazione fino alla compilazione della domanda da mandare entro il 28 Agosto 2023. Grazie a TQSA potrai regolarti, rispettare l'ambiente e continuare il tuo ciclo produttivo! Contattaci
- RSPP interno o esterno: perché un professionista esterno è la scelta migliore per la tua azienda?
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. In qualità di proprietari o manager di un'azienda, è essenziale garantire che la vostra società sia conforme a tutte le normative in materia di salute e sicurezza. Un modo per raggiungere questo obiettivo è quello di avere un Responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi. (RSPP). Un RSPP è un professionista formato che ha la responsabilità di garantire che l'azienda aderisca a tutte le norme di sicurezza e salute pertinenti. Per quanto riguarda l'RSPP, ogni azienda ha due opzioni tra cui scegliere: avere un RSPP interno alla propria realtà aziendale assumere un RSPP esterno. In questo articolo verranno analizzati i ruoli di entrambe le figure, approfondendo le differenze principali e i vantaggi e gli svantaggi. Quali sono i ruoli di un RSPP? L'RSPP interno è un professionista interno oppure esterno alla realtà aziendale il cui ruolo è quello di supervisionare e gestire tutti gli aspetti della normativa in materia di salute e sicurezza. L'RSPP è responsabile della creazione di politiche di sicurezza, della valutazione dei rischi e della formazione di tutti i dipendenti sulle procedure di sicurezza. Quando parliamo di RSPP è opportuno citare anche la responsabilità penale e civile. Per quanto riguarda la prima, il Decreto legislativo 81/2008 non prevede alcuna sanzione in ambito penale per la figura dell’RSPP. Tuttavia sono presenti alcune sentenze della Cassazione le quali stabiliscono l’attribuzione della responsabilità penale ad esempio in casi di infortunio sul lavoro. Per quanto riguarda invece la seconda, l’RSPP ha responsabilità civili quindi è tenuto a risarcimenti per eventuali danni dovuti a una sua consulenza. Ricordiamo che questo vale sia per RSPP interni che esterni. In particolare, la responsabilità civile può essere: extracontrattuale: quando l’RSPP non rispetta uno dei compiti assegnati (vedi articolo 33 del D.Lgs. 81/08) provocando dei danni, allora l’RSPP dovrà risarcire di tasca propria, contrattuale: si verifica quando l’RSPP non rispetta gli obblighi che ha accettato di assumersi nel contratto e quindi deve risarcire. In generale, questa figura è responsabile della salute e della sicurezza dei lavoratori quindi se viene meno al suo dovere creando dei danni ne risponde personalmente. I rischi giuridici di questa figura esterna sono gli stessi di un RSPP interno. Ora vedremo nel dettaglio i pro e i contro di un collaboratore interno vs esterno. Pro e contro dell'avere un RSPP interno in azienda Pro Avere un RSPP interno ha alcuni pro, tra cui: Migliore comprensione delle operazioni della vostra azienda Un RSPP interno conosce meglio le attività, la cultura e i dipendenti della vostra azienda. Ciò significa che può adattare le politiche di sicurezza e la formazione alle esigenze specifiche dell'azienda, ottenendo risultati migliori in termini di sicurezza. Presenza in loco Un RSPP interno è presente in loco, il che rende più facile valutare i rischi per la sicurezza e affrontare i problemi di sicurezza in tempo reale. Questo può aiutare a prevenire incidenti e infortuni, rendendo l'ambiente di lavoro più sicuro. Contro Tuttavia, ci sono diversi svantaggi che dovresti considerare tra cui: Costoso Assumere un RSPP interno può essere costoso, soprattutto se si tratta di una piccola impresa. Il costo dell'assunzione di un professionista che ricopra questo ruolo può essere un investimento significativo essendo una persona fissa del team e potrebbe non essere fattibile per tutte le aziende. Competenza limitata Un RSPP interno potrebbe non avere lo stesso livello di competenza o di esperienza di un RSPP esterno, soprattutto se è nuovo o se è una figura junior. Ciò può comportare lacune nelle politiche e nelle procedure di sicurezza, con conseguenti violazioni della sicurezza e incidenti. Mancanza di obiettività Un RSPP interno può non avere lo stesso livello di obiettività di un RSPP esterno quando si tratta di valutare i rischi per la sicurezza. Ciò può comportare una valutazione distorta dei rischi per la sicurezza, che può portare a un falso senso di sicurezza, mettendo così a rischio la tua struttura. Assumersi la responsabilità di internalizzare l’aspetto della sicurezza è sicuramente rischioso e i contro non sono da sottovalutare. Ora vediamo quindi nel dettaglio perché è meglio avere un RSPP esterno ovvero collaborare con un professionista. Pro e contro di un RSPP esterno all'azienda Pro Assumere un RSPP esterno alla propria azienda può portare diversi vantaggi, tra cui: Prospettive e competenze nuove Un RSPP esterno apporta alla vostra azienda una prospettiva e una competenza nuove. Ha esperienza di lavoro con più aziende e settori, il che significa che può fornire una valutazione più completa dei rischi per la sicurezza. Aggiornamento sulle più recenti normative e best practice in materia di sicurezza. È più probabile che un RSPP esterno sia aggiornato sulle ultime normative e best practice in materia di sicurezza. Ciò significa che può contribuire a garantire che la vostra azienda sia conforme a tutte le normative di sicurezza pertinenti. Valutazione oggettiva dei rischi per la sicurezza Un RSPP esterno può fornire una valutazione oggettiva dei rischi per la sicurezza. Ciò significa che potete essere certi che la valutazione è imparziale e non influenzata da fattori interni. Contro Tuttavia, c'è anche uno svantaggio nel rivolgersi a un RSPP esterno all'azienda, tra cui: Costoso Assumere un RSPP esterno può essere costoso, soprattutto se si richiede un'assistenza continua e se il professionista ha anni di esperienza. Bisogna ovviamente metter sul piano della bilancia le priorità aziendali e la sicurezza non può essere sicuramente al secondo posto. A fronte di un piccolo investimento si hanno diversi vantaggi e la differenza è sostanziale. Noi di TQSA siamo vicini al cliente e il costo del nostro servizio è un investimento fattibile. Come determinare l'RSPP più adatto alla propria azienda Per determinare l'RSPP più adatto alla vostra azienda, dovete considerare i fattori sopra menzionati. Dovete anche valutare le qualifiche, l'esperienza e la conoscenza di un RSPP: tutti fattori che spesso si fa fatica a trovare in una figura interna nell’azienda. È inoltre essenziale assicurarsi che l'RSPP scelto abbia una conoscenza completa di tutte le normative di sicurezza e delle migliori pratiche. Ciò contribuirà a garantire che la vostra azienda sia conforme a tutte le norme di sicurezza pertinenti e che i vostri dipendenti siano al sicuro. In definitiva, la scelta dell'RSPP più adatto alla vostra azienda dipenderà dalle vostre esigenze specifiche, dal vostro budget e dal livello di competenza ed esperienza richiesto per il ruolo. Conclusioni e riflessioni finali In conclusione, disporre di un RSPP è essenziale per garantire che la vostra azienda sia conforme a tutte le normative di sicurezza pertinenti. Nella scelta tra un RSPP interno o esterno, è necessario considerare diversi fattori, tra cui il costo, la competenza, la disponibilità e l'obiettività. Un RSPP interno può essere più conveniente e avere una migliore comprensione delle operazioni, della cultura e dei dipendenti della vostra azienda. Tuttavia, un RSPP esterno apporta alla vostra azienda una prospettiva e una competenza nuove e può fornire una valutazione obiettiva dei rischi per la sicurezza. Noi di TQSA che lavoriamo da anni in questo settore, sappiamo quanto i temi della sicurezza siano delicati, dettagliati e rischiosi se non si conoscono. Per questo motivo il consiglio che ti possiamo dare oggi è assumere un professionista che lavora attivamente in questo campo, proprio come noi. Leggendo l’articolo avrai compreso quali sono i vantaggi di questa opzione e quindi potrai comprendere quale sia la scelta migliore per te. Affidati a noi per la sicurezza della tua azienda.
- Sospensione dell'attività imprenditoriale: focus sulle microimprese
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Il lavoro in nero può causare la sospensione dell’attività di una microimpresa. Ciò è chiarito dall’ Ispettorato nazionale del lavoro (vedi nota n. 162 del 2023). Come ben saprai, le morti sul lavoro continuano ad aumentare e ciò non si limita ad un solo ambito. Si è provato a diminuire questo numero grazie ad alcune misure contenute nel D.L. n. 146/2021 (conv. in Legge n. 215/2021). Il provvedimento è intervenuto in primo luogo con importanti modifiche al D.Lgs. n. 81/2008 (TUSL), ma anche con significativi investimenti in risorse umane e strumentali. Nei prossimi paragrafi, analizzeremo nel dettaglio un’importante novità del decreto fiscale: la revisione del provvedimento interdittivo di sospensione dell’attività imprenditoriale. Finalità del provvedimento e presupposti per l’adozione Il provvedimento attuale ha un unico obiettivo: con la sospensione dell’attività si vuole garantire una più efficace azione di prevenzione della salute e sicurezza dei lavoratori. L’integrità psico-fisica può essere garantita soltanto a condizione che, alla base, vi sia un’assunzione regolare. Chi può adottare il provvedimento? il personale delle Aziende sanitarie locali, il Comando provinciale dei Vigili del Fuoco, il personale ispettivo dell’INL, Ma quali sono i presupposti per il provvedimento di sospensione? impiego di personale in misura pari o superiore al 10% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro occupati, al momento dell’accesso ispettivo, senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro ovvero inquadrati come lavoratori autonomi occasionali in assenza delle condizioni richieste dalla normativa; gravi violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate dall’Allegato I del medesimo TUSL. Gravi violazioni prevenzionistiche La legge prevede che il provvedimento venga adottato quando si verifica una delle 13 violazioni elencate di seguito: Decorrenza e inosservanza del provvedimento L’interdizione può ricorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo con effetto immediato. Il decreto prevedere una sanzione indiretta ovvero durante la sospensione, è vietato contrattare con la pubblica amministrazione. Il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento interdittivo è punito: con l'arresto (fino a sei mesi) per violazioni inerenti alla salute e sicurezza sul lavoro; con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro per sospensione lavoro irregolare. Ricorso avverso il provvedimento di sospensione Il ricorso è valevole entro 30 gg all’Ispettorato interregionale del lavoro, che può impiegare fino a 30 gg. Tuttavia, ricordiamo che la novità dell’art.14 non illustra, invece, quale sia l’organo amministrativo intitolato a ricevere gli eventuali ricorsi avverso i provvedimenti di sospensione adottati in presenza delle violazioni prevenzionistiche. Per far valere le proprie ragioni, il datore può fare ricorso innanzi al TAR territorialmente competente entro 60 gg dalla notifica. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Pdr Uni 125: la prassi sulla parità di genere
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Oggi voglio parlarti di un tema al quale tengo particolarmente, un tema molto sensibile, che in Italia come nel resto del mondo ha sempre fatto parlare parecchio di sé. Sto parlando della parità di genere, l’agenda Europea 2030 nello specifico all’obbiettivo numero 5 mira a ottenere la parità di opportunità tra donne e uomini nello sviluppo economico, l’eliminazione di tutte le forme di violenza nei confronti di donne e ragazze (compresa l’abolizione dei matrimoni forzati e precoci) e l’uguaglianza di diritti a tutti i livelli di partecipazione. A tal proposito le aziende al giorno d’oggi hanno una grande responsabilità, e dimostrare ai propri stakeholders la vicinanza a questo tema attraverso la certificazione UNI PdR 125:2022 può sicuramente essere motivo di differenziazione, soprattutto visti i finanziamenti a fondo perduto previsti, vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. COS’È? La prassi di riferimento UNI PdR 125:2022 definisce le Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l'adozione di specifici KPI (Key Performances Indicator - Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle Politiche di parità di genere nelle organizzazioni La PDR definisce le modalità di implementazione per un sistema di gestione per la parità di genere che prevede la strutturazione e l’adozione di un insieme di politiche e procedure atte al raggiungimento degli indicatori prestazionali. Andando a migliorare e valorizzare le performance individuali e organizzative, facendo emergere le varietà delle caratteristiche personali e professionali al fine di una riproposta e attualizzazione dell’economia e competitività aziendale. La Certificazione per la Parità di genere è applicabile a qualsiasi tipo di Organizzazione, sia del settore privato, pubblico o senza scopo di lucro, indipendentemente dalle dimensioni e dalla natura dell’attività. Sono escluse dall’applicazione del presente documento le Partite IVA che non hanno dipendenti o addetti. DA DOVE NASCE? L’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile elaborata dall’ONU prevede tra i suoi obbiettivi di raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze (obiettivo numero 5). La legge n. 162/2021 prevede la certificazione della parità di genere a partire dal 1° gennaio 2022. Questo documento deve attestare le politiche e le misure concretamente adottate dal datore di lavoro per ridurre il divario di genere (es. opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansioni, politiche di gestione delle differenze di genere e tutela della maternità). Il Dipartimento per le pari opportunità, all’interno dei fondi previsti dal PNRR, attiverà misure al fine di sostenere le imprese che vorranno certificarsi, con un supporto concreto per le spese di certificazione. I PUNTI CHIAVE La Prassi di riferimento si basa su indicatori di processo suddivisi in aree di pertinenza: Cultura e strategia Governance Processi HR Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda Equità remunerativa per genere Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro Ogni area di pertinenza ha un peso percentuale che contribuisce alla misurazione del livello raggiunto dell’organizzazione per la parità di genere. La prassi di riferimento prevede l’adozione di un piano strategico al fine di migliorare nel tempo le prestazioni dell’organizzazione in materia. I VANTAGGI L’accesso a sgravi fiscali per l’organizzazione tramite l’esonero del versamento dei complessivi contributi previdenziali in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui. Il finanziamento di Regione Lombardia dell’80% delle spese di consulenza e dell’ente di certificazione pari ad un massimo come da tabella sottostante: La creazione di un ambiente di lavoro maggiormente attrattivo per entrambi i generi e capace di far emergere il talento e il merito di ogni persona Il Rafforzamento dell’immagine reputazionale dell’Organizzazione e il raggiungimento di un obiettivo così sensibile, significativo e attuale L’accesso a vantaggi e premialità nella partecipazione a bandi italiani ed europei Nel 2023 avere ancora un enorme tasso di disuguaglianza tra i generi è inammissibile, è bene che ognuno di noi nel proprio piccolo si sforzi per far si questo non avvenga, quella che ti ho presentato oggi è un’enorme opportunità e sono sicuro che un imprenditore con sani principi come te riesca a percepirne il giusto valore. Per qualsiasi informazione aggiuntiva non esitare a contattarci. Spero come sempre di averti fornito una panoramica completa circa l’argomento trattato, ti ricordo che per qualsiasi informazione io e lo staff di TQSA rimaniamo a disposizione. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Bando Bit INAIL: l'innovazione tecnologica delle imprese
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Oggi ho deciso di sfruttare questo spazio per comunicarti che è stata prorogata la scadenza per il BANDO BIT 2022 al 13 febbraio 2023 alle ore 17. Di cosa si tratta? Inail, in collaborazione con il centro di competenza ARTES 4.0, promuove un bando per l’innovazione tecnologica delle imprese (BIT), per il finanziamento di progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale finalizzati alla riduzione del fenomeno infortunistico/tecnopatico o al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori. Chi può partecipare a tale bando? Il bando BIT si rivolge a start up, micro, piccole, medie e grandi imprese, con stabile organizzazione in Italia, che non abbiano impedimenti di alcun genere a contrarre con la Pubblica Amministrazione. Ciascuna impresa partecipante può presentare una sola proposta progettuale in forma singola o in qualità di capofila di partenariati costituiti da più imprese. In cosa consiste? La finalità del bando è incentivare progetti di innovazione, ricerca industriale e di sviluppo sperimentale finalizzati alla riduzione del fenomeno infortunistico/tecnopatico o che abbiano una riconoscibile capacità di produrre ricadute positive ai fini della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori tramite l’utilizzo delle tecnologie Impresa 4.0. I progetti ammissibili al finanziamento devono essere integralmente compresi in una delle seguenti categorie di aiuti: Aiuti ai progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale (Art. 25 del Regolamento europeo GBER n. 651/2014); Aiuti all’innovazione a favore delle PMI (Art. 28 del Regolamento europeo GBER n. 651/2014); Aiuti per l’innovazione dei processi e dell’organizzazione (Art. 29 del Regolamento europeo GBER n. 651/2014). Quali sono le caratteristiche dell’agevolazione? La dotazione finanziaria messa a disposizione per il bando BIT è di 2 mln di euro. Il bando prevede la concessione di agevolazioni sotto forma di contributi alle imprese beneficiarie nella misura del 50% delle spese sostenute, per un importo minimo non inferiore a euro 100.000 e per un importo massimo non superiore a euro 140.000 per ciascun progetto. Quale è l’iter valutativo? La procedura di selezione dei progetti sarà suddivisa in due fasi: verifica di ammissibilità delle domande valutazione tecnico scientifica delle proposte ammesse L’assegnazione del contributo avverrà sulla base di una graduatoria di merito. Come partecipare? Le domande devono essere trasmesse tramite la piattaforma: https://retecompetencecenter4-0-italia.it/artes/. I progetti devono prevedere: un piano di intervento concreto, dettagliato in investimenti, costi e tempi; una esposizione chiara dei benefici che il progetto di innovazione avrà nell’ambito della prevenzione e del contrasto degli infortuni e delle malattie professionali e in generale in materia di salute e sicurezza sul lavoro; un livello di maturità tecnologica compresa nell’intervallo tra TRL 5 e TRL 8; il ricorso alle competenze e alle strumentazioni di Artes 4.0 nella misura non inferiore al 20% delle spese ammissibili a copertura di servizi di ricerca contrattuale, consulenza tecnologica e supporto all’innovazione. Spero come sempre di averti fornito una panoramica completa circa l’argomento trattato, ti ricordo che per qualsiasi informazione io e lo staff di TQSA rimaniamo a disposizione. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Privacy e lavoro: Come utilizzare i dati dei dipendenti
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Nell’ultimo decennio lo sviluppo tecnologico ha fatto passi che fino a pochi anni fa sembravano impensabili cambiando gli aspetti legati al lavoro e alla privacy. Sempre più strumenti ideati e realizzati per un fine, si sono rivelati invece utilissimi ed utilizzabili anche per finalità differenti e questo principalmente grazie all’interconnessione e alla così detta Internet Of Things (l’internet delle cose). Proprio questa è stata la ragione per la quale l’originario testo di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che vietava l’uso “di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” si è rivelato nella realtà dei fatti inadatto stante che, l’obiettivo del controllo, poteva esser perseguito attraverso altri ed indiretti strumenti. Si pensi a tutti quegli apparecchi e/o dispositivi indispensabili al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa e messi a sua disposizione e che agevolmente potrebbero essere utilizzati appunto per altre finalità. A titolo di esempio si possono citare i GPS installati sui veicoli, i software sui dispositivi mobili aziendali che potrebbero permettere di verificare lo stato di libero od occupato, così come ogni altro strumento informatico (esempio pc) messo a disposizione del lavoratore oltre, ovviamente, alla posta elettronica. Insomma, se tempo indietro gli strumenti di controllo del lavoratore erano più facilmente identificabili, oggi la lista è sicuramente più lunga e soprattutto meno rigida. Senza addentrarsi nel dettaglio delle modifiche normative e quindi nella nuova “formulazione” dello Statuto dei Lavoratori (modificato dal D.Lgs 151/2015 c.d. Jobs Act) e volendo provare a fornire una quanto più chiara e allo stesso modo semplice linea guida su cosa si può fare o cosa no, oggi per poter procedere all’ installazione di strumenti di controllo (videosorveglianza) è necessario che siano presenti, oltre ad un accordo sindacale o – in sua assenza – una richiesta all’Ispettorato del lavoro, una delle seguenti ragioni: Esigenze organizzative e/o produttive; Questioni relative alla Sicurezza sul Lavoro; Tutela del Patrimonio Aziendale; La portata normativa risulta però limitata stante la sua non applicazione agli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” e agli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” che rimangono pertanto svincolati da tali “ragioni”. Tale limite applicativo non può certo intendersi come una liberalizzazione del controllo da parte del datore di lavoro che potrà utilizzare tutte le informazioni raccolte “a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto della normativa privacy vigente”. Rendere consapevole il dipendente L’attuale impostazione normativa quindi si occupa principalmente di rafforzare i diritti conoscitivi del lavoratore soggetto a controllo tecnologico. La mancanza di informazione renderà quindi inutilizzabili i dati raccolti ai fini del rapporto di lavoro. Dovrà esser cura di ogni datore di lavoro, prima di installare impianti di videosorveglianza, verificare la ricorrenza di uno dei tre presupposti indicati oltre alla necessità di stipulare un accordo sindacale o, ove non possibile, procedere alla richiesta per il tramite dell’ispettorato del lavoro. Nel caso invece in cui il datore di lavoro voglia utilizzare le informazioni ricevute attraverso “altri strumenti” per esigenze sul “rapporto di lavoro” potrà farlo solo dopo aver dato pronta e chiara informativa agli stessi secondo quanto disciplinato dall’art. 13 del Reg. Europeo 679/2016. Resta fermo che l’informazione ottenuta dovrà essere utilizzata in maniera “lecita” (es. non discriminatoria). Per dare l’idea della portata della normativa e per evidenziare una sua recente applicazione, merita ricordare la recente pronuncia di sicuro interesse del Tribunale di Bologna che, con ordinanza del 31.12.2020, ha ritenuto la piattaforma Deliveroo indirettamente discriminatoria dei lavoratori stante che l’algoritmo utilizzato finiva per valutare le prestazioni dei lavoratori classificandoli in base al rating di affidabilità e partecipazione per dare così la precedenza sulla scelta ai “rider” migliori. (di fatto uno strumento di controllo indiretto della prestazione). L’algoritmo avrebbe infatti effettuato una automatica valutazione della prestazione del lavoratore senza distinguere tra “assenze giustificate” ed altre, estromettendo dalla prestazione, e quindi emarginando in modo generalizzato, i riders che non potevano prendere in carico determinati ordini e che per questioni varie non si adattavano alle logiche dello strumento. Il Tribunale di Bologna ha ritenuto – tra l’altro – che l’algoritmo determinasse una violazione del principio di uguaglianza sostanziale. La normativa Per concludere, sugli strumenti di controllo (diretti e indiretti) e sugli obblighi datoriali è necessario evidenziare come ogni trattamento che possa comportare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone necessiti della così detta DPIA (valutazione di impatto, regolata dall’art. 35 del Regolamento UE 2016/679) considerata dal Garante come l’unico strumento idoneo a comprendere i rischi per i diritti e le libertà degli interessati in conseguenza all’utilizzo di uno strumento. In definitiva: l’ampliarsi degli strumenti utilizzabili dal datore di lavoro accresce, in proporzione, le cautele che lo stesso deve avere nell’utilizzare i più differenti strumenti. Ogni strumento che permetta di ottenere informazioni dovrà essere oggetto di una valutazione preliminare sulla liceità del trattamento stesso anche per distinguerlo, nel caso, tra strumento di controllo e no. Una volta verificata la liceità e individuata la finalità dello sesso, occorrerà procedere alle necessarie autorizzazioni ed informative. Spero come sempre di averti fornito una panoramica completa circa l’argomento trattato, ti ricordo che per qualsiasi informazione io e lo staff di TQSA rimaniamo a disposizione. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Modello Organizzativo 231:cos'è e come si compone
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Oggi mi piacerebbe molto parlarti di un Modello organizzativo e di Gestione aziendale. Altro non è che un insieme di protocolli che regolano e definiscono la struttura aziendale e la gestione dei suoi processi sensibili, che se correttamente applicato, riduce notevolmente il rischio di commissione di illeciti penali. In altre parole, un Modello correttamente elaborato, adottato e aggiornato, utile ad esimere una società della propria responsabilità amministrativa dipendente da reato. Scopriamo in questo articolo cos’è il Modello organizzativo 231, a cosa serve e se è obbligatorio. COSA SI INTENDE PER MODELLO ORGANIZZATIVO AI SENSI DEL D. LGS. 231/01 (MODELLO 231)? Un Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) esimente dalle responsabilità previste dal D. Lgs. 231/01 dovrà rispondere: ai requisiti previsti dall’art. 6 comma 2 dello stesso decreto nonché, qualora sia prevedibile il rischio di reato connesso alle violazioni di norme antinfortunistiche, anche ai requisiti previsti dall’art. 30 del D. Lgs. 81/2008. L’art. 6 del D. Lgs. 231/01 prevede che i Modelli Organizzativi 231 devono rispondere alle seguenti esigenze: a. individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b. prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c. individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d. prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e. introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Pertanto, un Modello 231 (MOG) dovrà contenere: un’analisi del rischio di reato, ossia una identificazione dei reati che potrebbero essere commessi, delle modalità e delle aree aziendali nei quali tali reati potrebbero avvenire protocolli per il governo dei processi, cioè l’individuazione delle modalità operative per la programmazione e il compimento dei processi aziendali, finalizzati a prevenire la commissione dei reati individuati nella precedente analisi degli obblighi di informazione nei confronti dell’Organismo di Vigilanza (OdV); un sistema disciplinare che preveda sanzioni per ogni soggetto coinvolto nei processi aziendali a rischio di reato. È necessario sottolineare che il Modello 231 (MOG) per avere efficacia esimente, non solo deve essere idoneo “sulla carta”, ma deve essere efficacemente attuato, ossia deve avere tutti i presupposti per impedire il reato: sia in termini di individuazione astratta delle misure tese a prevenire il reato sia in termini di applicazione effettiva di tali misure. Inoltre, va evidenziato che la responsabilità dell’ente non trova fondamento solo e semplicemente nel non aver saputo effettivamente impedire la commissione del reato, dato che, se così fosse, il Modello Organizzativo 231 (MOG) adottato risulterebbe automaticamente inadeguato, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla effettiva condotta delle persone che ne hanno violato i protocolli. Ai fini dell’effettiva applicazione del Modello 231, l’Organismo di Vigilanza (OdV) costituisce un elemento fondamentale nei modelli di gestione e nel garantire, con la sua attività di controllo, l’efficace attuazione degli stessi. In sostanza, ai fini della responsabilità dell’ente è fondamentale prendere in considerazione i comportamenti tenuti dai soggetti che hanno commesso i reati, in particolare qualora questi abbiano agito “fraudolentemente” con l’intento di aggirare i sistemi di controllo del Modello 231, tra i quali anche quelli a carico dell’Organismo di Vigilanza (OdV). In tal caso, infatti, un Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) pure adeguato ed efficace, può fallire nell’impedire la commissione di un reato. Dunque, la natura fraudolenta della condotta del soggetto costituisce l’indice rivelatore, a posteriori, della validità del modello: solo una condotta fraudolenta può, forzando ed aggirando le “misure di sicurezza”, consentire la commissione di un reato in un’organizzazione “protetta” da un Modello 231 (MOG) efficace. MODELLI ORGANIZZATIVI 231: COSA PREVEDE IL D. LGS. 81/08? Il D. Lgs. 81/2008 ha richiamato la possibilità di istituire un Modello Organizzativo 231 (MOG), previsto dal D. Lgs. 231/01 ed idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa dell’Ente, dando ulteriori ed esplicite indicazioni sui connotati di tale modello nell’art. 30 dello stesso Testo Unico Sicurezza sul Lavoro. Sempre l’art. 30 del D. Lgs. 81/08 precisa che i Modelli Organizzativi 231 definiti conformemente alle: Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 British Standard OHSAS 18001:2007, quest’ultima costituente al momento della scrittura del D. Lgs. 81/08 l’unico riferimento normativo sui sistemi di gestione della sicurezza “certificabili” da un ente accreditato, ora sostituita dalla norma UNI ISO 45001 si presumono conformi ai requisiti sopra citati per le parti corrispondenti: tali norme, infatti, non sono sovrapponibili al modello richiesto dal D. Lgs. 231/01. In sostanza, un Modello Organizzativo 231 che voglia essere esimente anche dalle sanzioni applicate per la commissione dei reati di: omicidio colposo o lesioni personali colpose in violazione delle norme antinfortunistiche, dovrà rispettare i requisiti previsti dal: D. Lgs. 231/01 e dall’art. 30 del D. Lgs. 81/2008 I due riferimenti di legge non sono tra loro alternativi, così come l’adozione di un Sistema di Gestione della Sicurezza conforme alla norma UNI ISO 45001 non sostituisce il Modello 231 ma ne può costituire un elemento fondamentale, in particolare per rispondere ai requisiti previsti dall’art. 30 del Testo Unico Sicurezza sul Lavoro. IL MODELLO ORGANIZZATIVO 231 È OBBLIGATORIO? La disciplina in materia di responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni non prevede alcuna obbligatorietà del modello 231. Parliamo infatti di un modello di organizzazione e gestione, che permette alle imprese di ridurre il rischio di essere chiamate a rispondere per uno dei reati sanzionati dal Decreto 231. Dunque, tutte le aziende esposte al rischio di contestazione delle violazioni citate nella norma possono sottoscrivere questo modello, anche le piccole e medie imprese. Alcune legislazioni regionali lo prevedono come requisito preliminare per ottenere l’accreditamento in settori specifici. IL MODELLO 231: COSA DEVE FARE L’AZIENDA PER EVITARE L’APPLICAZIONE DELLE SANZIONI PREVISTE DAL D. LGS. 231/01? L’art. 6 del D. Lgs. 231/01 stabilisce che l’Ente possa sottrarsi da responsabilità, qualora dimostri: di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto/reato “modelli di organizzazione e di gestione (abbreviati dall’acronimo MOG o dal termine “Modello Organizzativo 231” o, ancora più brevemente “Modello 231”) idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”; di aver affidato il compito di vigilare sul funzionamento, sull’efficacia e sull’osservanza del già menzionato modello e sull’aggiornamento dello stesso, ad un “organismo di controllo interno all’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo”, usualmente denominato Organismo di Vigilanza, ossia OdV. L'art. 30 del D.lgs. 81/2008 prevede la facoltà di applicare un modello di organizzazione e di gestione (MOG), così come previsto dal D.lgs. 231/2001, idoneo a rendere esente l’Ente adottante dalla responsabilità amministrativa. In particolare, detto modello organizzativo deve essere adottato ed efficacemente attuato, affinché garantisca l’adempimento dei seguenti obblighi giuridici diretti: al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; all’attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti; all’attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; all’attività di sorveglianza sanitaria; all’attività di informazione e formazione dei lavoratori; all’attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori; all’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge; alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate. Pertanto, il Modello Organizzativo 231 rappresenta uno strumento fondamentale per giungere all’esenzione di responsabilità dell’ente previste dal D. Lgs. 231/01. L’ideazione, l’applicazione e l’efficace attuazione di un Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231/01 rappresenta la prova della sussistenza di un’adeguata organizzazione aziendale, tale da prevedere procedure idonee a prevenire la commissione dei reati presupposto, espressamente previsti dalla normativa. In sostanza, ai fini della responsabilità dell'ente prevista dal D. Lgs. 231/01, non è sufficiente che il reato sia stato commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, ma è necessario che esso derivi da una “colpa organizzativa”, cioè dall’assenza di un sistema di organizzazione aziendale finalizzato a prevenire i reati (il Modello Organizzativo 231), quando non costituisca addirittura l’espressione di un preciso intento di politica aziendale. Spero come sempre di averti fornito una panoramica completa circa l’argomento trattato, ti ricordo che per qualsiasi informazione io e lo staff di TQSA rimaniamo a disposizione. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Certificazione EMAS: cos'è, come ottenerla e vantaggi
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Oggi ti parlerò della certificazione EMAS. Uno dei trend sicuramente in crescita in questi ultimi anni che riguarda aziende, enti pubblici e privati, è quello di cercare di diminuire notevolmente l’impatto delle nostre attività sul pianeta. Pochi mesi fa, per motivi noti a tutti, ci siamo visti aumentare in modo consistente il costo delle utenze, ciò ci sta sicuramente penalizzando a livello economico, ma ci sta altresì permettendo di avere un occhio di riguardo nei confronti del pianeta, andando a diminuire notevolmente gli inutili sprechi. Se anche tu credi che la tua azienda possa pensare più in verde, non potrai che prendere in considerazione l’argomento di cui ti voglio parlare oggi, vediamo di cosa si tratta. Oggi voglio guidarti alla scoperta della registrazione EMAS (acronimo di Eco-Management and Audit Scheme) la stessa, indica la conformità di un’impresa o di un sito a quanto disposto dal Regolamento Europeo n.1221/2009. Questo regolamento mira a favorire una gestione più razionale degli aspetti ambientali delle organizzazioni sulla base non solo del rispetto dei limiti di legge, ma anche: del continuo miglioramento delle proprie prestazioni ambientali; dell’attiva partecipazione dei dipendenti; della trasparenza con le istituzioni e il pubblico. Quali soggetti possono richiedere la registrazione EMAS? L’EMAS è uno strumento a base volontaria al quale possono aderire le organizzazioni (sia aziende sia enti pubblici) e i siti che intendono valutare e implementare le proprie prestazioni ambientali e fornire al pubblico informazioni in merito ad esse. A che cosa serve la registrazione EMAS? Ottenere la registrazione EMAS e, quindi, la possibilità di utilizzarne il logo che attesta l’adesione ai principi espressi nel Regolamento ed è indice dello standard di qualità e dell’impegno in materia ambientale da parte dell’impresa o del sito registrato. Nell’ambito degli appalti pubblici e delle fideiussioni necessarie a essi, inoltre, la certificazione EMAS può portare a delle riduzioni dei costi (anche del 30%), se ciò è previsto nel bando. Chi rilascia la registrazione EMAS? Ai sensi del Regolamento n.1221/2009 ogni Stato Membro dell’Unione Europea designa un organismo competente al rilascio della registrazione detto competent body. In Italia, il rilascio della registrazione EMAS è affidato al Comitato Interministeriale per l’Ecolabel e l’Ecoaudit il quale si avvale della collaborazione dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e delle varie Agenzie Regionali (ARPA) e Provinciali (APPA) per la Protezione dell’Ambiente. Come si ottiene la registrazione EMAS? Per ottenere la registrazione un sito o un’organizzazione deve effettuare diversi passaggi, vediamoli si seguito. 1. Stabilire la politica ambientale Per aderire all’EMAS, un’organizzazione deve, innanzitutto, procedere ad un’analisi ambientale delle proprie attività, in modo tale da valutarne l’impatto ambientale. Sulla base di tale analisi, l’organizzazione interessata deve stabilire la propria politica ambientale. Quest’ultima, normalmente delineata dai vertici aziendali, non è altro che un documento con il quale l’organizzazione specifica impegni, obiettivi e azioni che intende perseguire al fine di migliorare le proprie prestazioni ambientali. 2. Elaborare un programma ambientale Stabilita la propria politica ambientale, l’organizzazione deve elaborare un apposito programma ambientale, contenente le misure che devono essere adottate allo scopo di raggiungere i target fissati con la politica ambientale. 3. Elaborare un sistema di gestione ambientale (SGA) Poi deve elaborare un proprio sistema di gestione ambientale (SGA), ossia un insieme di procedure e prescrizioni che consentono di: Evidenziare gli aspetti ambientali interessati dalle diverse fasi produttive; valutare gli impatti ambientali di queste ultime; definirne le modalità di controllo e verifica e, quindi, di stabilire quali azioni intraprendere al fine di garantire il miglioramento continuo delle proprie prestazioni ambientali. Lo scopo del SGA è quindi quello di fare in modo che la qualità del prodotto e il processo produttivo siano rispettosi dell’ambiente circostante. 4. Produrre una Dichiarazione Ambientale da far validare da un verificatore accreditato A questo punto, l’organizzazione interessata deve procedere sistematicamente e periodicamente ad una verifica obiettiva e documentata (il cosiddetto auditing) delle proprie prestazioni ambientali e, quindi, dell’efficienza del SGA di cui si è dotata. Inoltre, deve rilasciare una dichiarazione ambientale da diffondere pubblicamente che includa: La descrizione degli aspetti ambientali dell’organizzazione stessa e delle sue prestazioni ambientali; il documento di politica ambientale; l’enunciazione degli obiettivi e dei target ambientali dell’organizzazione; la descrizione del SGA. La Dichiarazione così predisposta deve essere sottoposta alla verifica di un apposito verificatore ambientale accreditato indipendente e, in caso di esito positivo della stessa, è da quest’ultimo convalidata. Infine, grazie alla dichiarazione ambientale convalidata, l’organizzazione può richiedere al Comitato Ecolabel-Ecoaudit di essere registrata nel registro EMAS dell’UE e, una volta registrata, può utilizzare il logo EMAS. Per i più interessati, a questo link si può accedere alla versione integrale della procedura per la registrazione delle organizzazioni aventi sede e operanti nel territorio italiano e in paesi extra UE ai sensi del regolamento ce 1221/2009 del parlamento europeo e del consiglio del 25 novembre 2009. Quanto dura la registrazione EMAS? La registrazione EMAS è valida per tre anni, al termine dei quali è possibile procedere al rinnovo seguendo l’iter della prima registrazione e, quindi, redigendo una nuova Dichiarazione Ambientale i cui dati, in ogni caso, devono essere aggiornati annualmente. Quali sono le differenze tra la registrazione EMAS e la Certificazione ISO 14001? La certificazione ISO 14001 ha valenza mondiale mentre la registrazione EMAS è valida nel territorio dell’UE, anche se molte organizzazioni internazionali ne riconoscono la validità. Inoltre, la registrazione EMAS è rilasciata da un organismo pubblico mentre la certificazione ISO 14001 ha natura privatistica. La certificazione ISO 14001 poi, può essere richiesta solamente dalle aziende, l’EMAS, invece, è accessibile anche ai siti. Infine, solo l’EMAS richiede la redazione della Dichiarazione Ambientale pubblica, la quale non è invece necessaria ai fini dell’ottenimento della certificazione ISO 14001. Quali sono i vantaggi della registrazione EMAS? L'adesione ad EMAS consente: la riorganizzazione interna e conseguente crescita dell'efficienza; la riduzione dei costi a seguito di una razionalizzazione nell'uso delle risorse e nell'adozione di tecnologie più pulite; la crescita della motivazione dei dipendenti e della loro partecipazione, con conseguente riduzione delle conflittualità interne; la creazione di un rapporto di maggiore fiducia con gli organismi preposti al controllo ambientale e con quelli che rilasciano le autorizzazioni; la riduzione delle probabilità di eventi che possono arrecare danno all'ambiente; maggiori garanzie in termini di certezza del rispetto delle normative ambientali; la crescita delle conoscenze tecnico-scientifiche e loro uso per il miglioramento continuo delle prestazioni ambientale; la riduzione del carico burocratico (corsie preferenziali) per le organizzazioni aderenti ad EMAS; maggiori garanzie di accesso ai finanziamenti per le piccole imprese; l'incremento del valore patrimoniale per la garanzia di una corretta gestione ambientale che ne esalta la valutazione. Spero come sempre di averti fornito una panoramica completa circa l’argomento trattato, ti ricordo che per qualsiasi informazione io e lo staff di TQSA rimaniamo a disposizione. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Consulente ADR: chi è, cosa fa e come svolgere l'esame?
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Oggi voglio parlarti di una figura che da una ventina d’anni a questa parte sta man mano acquisendo importanza all’interno delle aziende che trasportano merci definite pericolose. La figura del Consulente ADR, detto più propriamente Consulente per la sicurezza ai trasporti di merci pericolose o DGSA (Dangerous Goods Safety Advisor) nell’acronimo inglese, è stata introdotta nel nostro ordinamento dal Decreto Legislativo 04/02/2000 nr. 40 (Gazzetta Ufficiale numero 52 del 03/03/2000) in recepimento della direttiva europea 96/35/CE del 3 giugno 1996 relativa alla designazione e alla qualificazione professionale dei consulenti per la sicurezza dei trasporti di merci pericolose su strada, per ferrovia o per via navigabile. Quella del DGSA è, dunque, una professione giovane! Nel Marzo del 2010 questo Decreto è stato poi parzialmente abrogato e sostituito dal Decreto Legislativo 35/2010 del quale, ad oggi, non risultano in parte ancora emanati i Decreti attuativi. La vecchia norma rimane, dunque, ancora in vigore per quanto non in contrasto con il nuovo testo. Chi è il Consulente ADR? Le norme sottolineano come questa sia una figura di "garanzia" per la sicurezza in azienda in merito alla gestione dei trasporti di merci pericolose. Difatti il DGSA non rappresenta un mero obbligo giuridico, ma un concreto collaboratore dei vertici aziendali occupandosi di elaborare adeguate procedure, garantire la necessaria formazione a tutti coloro che all’interno dell’azienda si occupano di merci pericolose e monitorare i processi aziendali affinché la sicurezza sia sempre al primo posto! Cosa fa il consulente ADR? Negli ultimi anni la figura del DGSA è più presente nelle nostre aziende grazie ad una maggior sensibilità sul tema acquisita dal mondo delle imprese e grazie ad alcune certificazioni che impongono il DGSA come elemento ineludibile, ma si può fare molto di più…! Mancano i controlli! La crisi subita, la disinformazione, la cronica mancanza di cultura della sicurezza e la colpevole mancanza di controlli hanno contrastato in passato e contrastano in parte ancora oggi, la diffusione capillare di questa figura nelle aziende italiane. Esiste un elenco dei consulenti ADR? Purtroppo, allo stato attuale, questa professione non rientra tra quelle cosiddette riconosciute ed è priva di albo professionale. Difficile, quindi, fare una stima esatta del numero di consulenti presenti sul territorio nazionale. Esiste però dal 2004 un "registro" volontario organizzato e gestito da Orange Project, organizzazione che da sempre si occupa di diffondere in Italia la cultura della sicurezza nel campo dei trasporti di merci pericolose, al quale diversi Consulenti sono iscritti, ma il numero delle iscrizioni fa sì che il campione non sia molto indicativo. In definitiva, c’è molto lavoro da fare ancora! Consulente ADR: la normativa Come già precisato in premessa, la norma attuale italiana di riferimento in materia ADR è il Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, nr. 35 che ha recepito e dato attuazione alla Direttiva quadro 2008/68/CE relativa al trasporto interno di merci pericolose. ADR: a quali trasporti si applica? In base all’art.1 del Decreto: si applica al trasporto di merci pericolose effettuato su strada, per ferrovia o per via navigabile interna, sia all’interno dello Stato nazionale che tra gli Stati della Comunità europea, alle operazioni di carico e scarico, al trasferimento da un modo di trasporto ad un altro ed alle soste rese necessarie dalle condizioni di trasporto. Non si applica al trasporto di merci pericolose ciò che è effettuato: mediante veicoli, vagoni o unità navali che appartengono alle forze armate o che si trovano sotto la responsabilità di queste ultime ovvero mediante navi in servizio governativo non commerciale; mediante unità navali adibite alla navigazione marittima su vie navigabili marittime che si estendono nelle vie navigabili interne; mediante traghetti che effettuano soltanto l’attraversamento di una via navigabile interna o di un porto; oppure interamente all’interno del perimetro di un’area chiusa. Consulente ADR: in quali settori opera? Dunque, le norme ADR e quelle sul consulente sono applicabili non solo alle aziende che trasportano merci pericolose via strada/ferrovia/vie navigabili interne, ma anche a quelle che effettuano carico/scarico e altre operazioni accessorie al trasporto (imballaggio, ndr). Con ADR 2019[8], fu introdotta una grossa novità in tema DGSA estendendo il campo di applicazione, per quanto riguarda l’obbligo di nomina, anche alla figura del "puro" speditore fino ad oggi non considerata. “Ogni impresa, la cui attività comporta la spedizione o il trasporto di merci pericolose per strada, oppure le operazioni connesse di imballaggio, di carico, di riempimento o di scarico, designa uno o più consulenti per la sicurezza dei trasporti di merci pericolose, in seguito denominati «consulenti», incaricati di facilitare l’opera di prevenzione dei rischi per le persone, per i beni o per l’ambiente inerenti a tali attività.” (Cap. 1.8.3.1 – ADR 2019). Nomina del Consulente ADR o DGSA Infine, sempre in tema di nomina DGSA, sono fatti salvi i casi d’esenzione fissati dal Decreto Ministeriale Trasporti 04.07.2000 così riassunti: trasporti esclusivi in esenzione parziale (1.1.3.6 adr) o totale (3.4 adr); trasporti "occasionali" di merci pericolose in ambito esclusivo nazionale con un grado di pericolosità e inquinamento minimi (Gruppo d’imballaggio III) con quantitativi non superiori a 180 ton/anno con un numero max. di operazioni non superiori a 3/mese e 24/anno). La circolare Ministeriale Trasporti A26/2000/MOT del 14 novembre 2000 (art. 5) aggiunge all’elenco esenzioni anche: spedizioni di merci pericolose ricevute da imprese individuabili come destinatari finali del trasporto che utilizzano completamente le merci all’interno del ciclo produttivo aziendale. I requisiti del consulente DGSA Per diventare consulente ADR servono passione, studio, competenza ed esperienza sul campo come in tutte le professioni! Come diventare Consulente ADR? Premesso che l’incarico può venire assunto sia da personale interno all’azienda, sia da un libero professionista, il candidato prescelto deve essere in possesso almeno di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado ed è evidente che, visto le materie in gioco e la delicatezza del ruolo, egli non possa prescindere da una preparazione di base di tipo scientifico e giuridica. Certificato ADR: dove è valido? Il certificato è valido in ogni paese facente parte dell’Unione Europea. Chi rilascia il certificato di consulente ADR? Il certificato di formazione professionale di cui all’ADR, RID, ADN è rilasciato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici, a seguito del superamento dell’esame. Esami per consulenti DGSA L’esame per il conseguimento del certificato di formazione professionale di consulente per la sicurezza del trasporto si svolge secondo le modalità previste dal capitolo 1.8 dell’ADR, del RID e dell’ADN. Il futuro DGSA deve poi sostenere un esame presso uno degli uffici provinciali del ministero dei Trasporti (ex M.C.T.C), a seguito del quale viene rilasciato un certificato attestante l’idoneità del candidato a svolgere le mansioni del consulente (Certificato di formazione professionale ai sensi della Direttiva 96/35/CE). Quanto dura il certificato professionale ADR? Il certificato ha una validità di cinque anni, dopo i quali va rinnovato sempre a mezzo esame. ESAME per consulenti ADR: come si svolge? Le regole di svolgimento dell’esame sono poste all’interno del DM TRASPORTI 29 dicembre 2010. L’esame iniziale per il conseguimento della certificazione avviene in forma scritta ed è costituito da questionari con domande a scelta multipla riferiti alla/e modalità e specializzazione/i richiesta/i e dallo studio di un caso: è prassi consolidata e adottata da tutte le commissioni proporre ai candidati questionari a quiz; al candidato viene richiesta l’indicazione di “Vero” o “Falso” su tutte le affermazioni contenute nella scheda composta da: 20 domande, per un totale di 60 risposte (domande base) (almeno 48 risposte esatte per superare l’esame); – 10 domande, per un totale di 30 risposte (domande legate ad ogni singola modalità di trasporto richiesta) (almeno 24 risposte esatte per superare l’esame); 10 domande, per un totale di 30 risposte (domande legate ad ogni singola specializzazione richiesta) (almeno 24 risposte esatte per superare l’esame); Viene poi proposto uno studio la cui articolazione, scelta dalla commissione, è tesa a verificare la capacità del candidato di svolgere le mansioni di consulente per la sicurezza. I candidati che sostengono l’esame per un’unica specializzazione svolgono lo “studio del caso” nell’adattamento relativo alla specializzazione prescelta; i candidati che, invece, sostengono l’esame per più specializzazioni svolgono lo studio nell’adattamento relativo ad una di tali specializzazioni a scelta della commissione esaminatrice. Nel caso del rinnovo della certificazione, lo studio del caso non deve essere svolto. Nomina del consulente ADR. Cosa deve fare l’azienda? L’Art. 11 del Decreto Legislativo 35/2010, spiega come l’azienda deve comportarsi per la nomina del Consulente. Chi nomina il consulente ADR? Lo nomina il legale rappresentante dell’impresa la cui attività comporta trasporti di merci pericolose, oppure operazioni di imballaggio, di carico, di riempimento o di scarico, connesse a tali trasporti. Consulente DGSA: inserimento in azienda Entro quindici giorni dalla nomina, il legale rappresentante comunica le complete generalità del consulente nominato all’ufficio periferico del Dipartimento per il trasporto, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti competente in relazione al luogo in cui ha sede l’impresa. Consulente ADR: l’obbligo di relazione Entro sessanta giorni dalla nomina, il consulente verificate le prassi e le procedure concernenti l’attività dell’impresa presso la quale opera, redige una relazione nella quale, per ciascuna operazione relativa all’attività di impresa, indica le eventuali modifiche procedurali ovvero strutturali necessarie per l’osservanza delle norme in materia di trasporto, carico e scarico di merci pericolose, nonché per lo svolgimento dell’attività dell’impresa in condizioni ottimali di sicurezza. Relazione ADR: quando redigerla? La relazione è redatta annualmente e, comunque, ogni qualvolta intervengano eventi modificativi delle prassi e procedure poste alla base della relazione stessa, ovvero delle norme in materia di trasporto, carico e scarico di merci pericolose, ed è consegnata al legale rappresentante dell’impresa. Il legale rappresentante conserva le relazioni per cinque anni. Relazione di incidente: quando trasmetterla? La relazione di incidente redatta dal consulente ai sensi dell’ADR, RID, ADN e’ trasmessa entro quarantacinque giorni dal verificarsi dell’incidente medesimo al legale rappresentante dell’impresa e per il tramite degli uffici periferici del Dipartimento per il trasporto, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al medesimo Dipartimento ed al Ministero dell’interno – Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile. I compiti del consulente Il D.Lgs. 35/2010 fa esplicitamente riferimento (art. 3) al manuale ADR dove sono contenute, tra l’altro, le norme riguardanti il consulente ADR (Capitolo 1.8.3.3. – ADR 2019): Sotto la responsabilità del capo dell’impresa, funzione essenziale del consulente è ricercare tutti i mezzi e promuovere ogni azione, nei limiti delle attività in questione dell’impresa, per facilitare lo svolgimento di tali attività nel rispetto delle disposizioni applicabili e in condizioni ottimali di sicurezza. Quali sono le funzioni del Consulente ADR? Le sue funzioni, da adattare alle attività dell’impresa, sono in particolare le seguenti: verificare l’osservanza delle disposizioni in materia di trasporto di merci pericolose; consigliare l’impresa nelle operazioni riguardanti il trasporto di merci pericolose; redigere una relazione annuale, (La stessa va consegnata al capo dell’impresa entro il mese di febbraio dell’anno successivo a quello di riferimento) destinata alla direzione dell’impresa o eventualmente a un’autorità pubblica locale, sulle attività dell’impresa per quanto concerne il trasporto di merci pericolose. La relazione è conservata per cinque anni e, su richiesta, messa a disposizione delle autorità nazionali. Quali sono i compiti del consulente ADR? I compiti del consulente comprendono, inoltre, in particolare l’esame delle seguenti prassi e procedure concernenti le attività in questione dell’impresa: le procedure volte a far rispettare le materia prescrizioni relative all’identificazione delle merci pericolose trasportate; le prassi dell’impresa per quanto concerne la valutazione, all’atto dell’acquisto dei mezzi di trasporto, di qualsiasi particolare requisito relativo alle merci pericolose trasportate; le procedure di verifica delle attrezzature utilizzate per il trasporto di merci pericolose o per le operazioni di carico o scarico; il possesso, da parte del personale interessato dell’impresa, di un’adeguata formazione e la registrazione di tale formazione; l’applicazione di procedure d’ emergenza adeguate agli eventuali incidenti o eventi imprevisti che possano pregiudicare la sicurezza durante il trasporto di merci pericolose o le operazioni di carico o scarico; l’analisi e, se necessario, la redazione di relazioni sugli incidenti, gli eventi imprevisti o le infrazioni gravi costatate nel corso del trasporto delle merci pericolose o durante le operazioni di carico o scarico; l’attuazione di misure appropriate per evitare il ripetersi d’incidenti, eventi imprevisti o infrazioni gravi; la presa in conto delle disposizioni legislative e dei requisiti specifici relativi al trasporto di merci pericolose, per quanto concerne la scelta e l’utilizzo di subfornitori o altri operatori; la verifica che il personale incaricato del trasporto di merci pericolose, oppure del carico o dello scarico di tali merci, abbia procedure operative e istruzioni dettagliate; l’introduzione di misure di sensibilizzazione ai rischi connessi al trasporto di merci pericolose o al carico o scarico di tali merci; l’attuazione di procedure di verifica volte a garantire la presenza, a bordo dei mezzi di trasporto, dei documenti e delle attrezzature di sicurezza che devono accompagnare il trasporto e la loro conformità di tali documenti e attrezzature alle regolamentazioni; l’attuazione di procedure di verifica dell’osservanza delle disposizioni concernenti le operazioni di carico e scarico; l’esistenza del piano di security previsto al 1.10.3. Consulente ADR: cosa fa in azienda? Il DGSA non è un “nemico” dal quale fuggire! Egli favorisce l’ottimizzazione dei processi, agevolandoli e non rallentandoli. Possiede inoltre le capacità e gli strumenti per individuare ed evidenziare a priori i possibili rischi di incidente, e per valutare la serietà delle conseguenze. E’ in grado di proporre le soluzioni ideali per mitigare i rischi con interventi concreti e mirati dal punto di vista tecnico e gestionale. Il suo operato in azienda favorisce, inoltre, la gestione regolare dei trasporti, contribuendo a scongiurare le eventuali sanzioni previste in caso di inadempimenti. Egli si pone come il “garante” della formazione in azienda. Il contributo del DGSA si esplicita infine anche dal punto di vista formale e burocratico, in relazione al rispetto di tutti gli adempimenti e al mantenimento delle relazioni con le pubbliche autorità. Le responsabilità dell’azienda e del consulente Le responsabilità sono importanti per tutti. L’articolo 12 del Decreto Legislativo 35/2010 fissa le sanzioni previste per la mancata osservanza delle disposizioni viste finora, con sanzioni amministrative e pecuniarie che vanno dai 2000 sino ai 24000 euro in base all’infrazione commessa. Sanzioni per il consulente ADR Le sanzioni appena viste non sembrano particolarmente pesanti anche perché di natura esclusiva amministrativa, ma vanno coniugate con le conseguenze molto gravi che la mancanza del consulente comporta, nel caso in cui si verifichi un sinistro con lesioni a persone fisiche (condanna penale per lesioni colpose). Le nuove norme sono quindi sempre più stringenti e diventa sempre più sentita la necessità di avere al proprio fianco un professionista che sia in grado di dare soluzioni concrete ai vari problemi e che sia in grado di istruire con competenza le figure aziendali che devono gestire operativamente le spedizioni di merci pericolose in azienda. Per quanto riguarda il DGSA professionista (non dipendente), a valle delle sanzioni previste all’art 12 – commi 3 e 4 ed essendo legato all’azienda da un contratto, dovrà farsi carico di tutte le responsabilità che conseguono dalla firma di questo atto senza sottovalutare, se del caso, le possibili implicazioni di diversa natura. Quali sanzioni per l’impresa priva di consulente ADR? Da ricordare, inoltre, che in caso di sinistro con danni, in mancanza di nomina del consulente, le imprese assicuratrici potrebbero non rispondere per la responsabilità civile. È appena il caso di ricordare, infine, le implicazioni penali e quelle relative al D.lgs. 231/2001 a carico dell’azienda in caso di incidente sul lavoro che abbia coinvolto delle persone fisiche (Art. 25, D.lgs. 231/2001). Consulente ADR: un investimento e non un costo Alla luce di quanto fin qui detto, possiamo ben affermare che il DGSA non è soltanto colui che presenta la relazione annuale a fine anno, assolvendo così ai suoi doveri istituzionali, ma è una figura molto importante che interagisce continuamente con l’azienda, 365 giorni l’anno, facendo in modo che la sicurezza, la prevenzione degli incidenti e l’osservanza delle norme siano sempre al primo posto nella speciale classifica dei valori aziendali. Ricordiamo sempre che la sicurezza in azienda è un investimento e non un costo e chela cultura della sicurezza all’interno di una realtà aziendale è un vero e proprio generatore di valore per l’impresa stessa. Spero come sempre di averti fornito una panoramica completa circa l’argomento trattato, ti ricordo che per qualsiasi informazione io e lo staff di TQSA rimaniamo a disposizione. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Responsabile Anticorruzione: come ottenere la certificazione ISO 37001?
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Oggi ti voglio parlare di una certificazione molto importante, la ISO 37001, la stessa fornisce a qualsiasi tipo di organizzazione, una guida e i requisiti per stabilire, implementare, rivedere e migliorare un sistema di gestione anticorruzione. Ma perché ti parlo di questo? Dal 2012 sino ad oggi l’Italia, nella sua pubblica amministrazione, nella sua politica e nelle sue organizzazioni si sta impegnando per dare un’immagine diversa di sé. Dati alla mano, in quest’ultimo anno, grazie ad un significativo cambio di mentalità, abbiamo scalato 10 posizioni nella classifica di Transparency International andando a raggiungere il 42° posto su 180 paesi. La gestione dei rischi legati alle varie forme possibili di corruzione è fondamentale per avere successo a livello commerciale, e di gestione degli stakeholder. La certificazione ISO 37001 può assicurare alle parti interessate che sono state adottate, mantenute e continuamente migliorate delle misure efficaci contro un tarlo come quello della corruzione. Cos'è la ISO 37001? La norma ISO 37001, pubblicata nell’ottobre 2016, stabilisce i requisiti del sistema di gestione progettati per aiutarti a prevenire, rilevare e rispondere alla corruzione, nonché a rispettare le leggi anticorruzione e gli impegni volontari applicabili alle attività dell'organizzazione. Si applica esclusivamente alla corruzione, mentre altri aspetti, come la frode o il riciclaggio di denaro, possono essere inclusi nell'ambito del sistema di gestione in conformità con la legislazione pertinente, il tutto dando un valore più significativo al progetto stesso. Grazie all'introduzione di un sistema di controllo focalizzato alla prevenzione del rischio sarà possibile ridurre i rischi legati al fenomeno corruzione, a prescindere dalla provenienza di tale rischio, se da o per conto di un'organizzazione esterna o business partners così come dai suoi dipendenti, fornendo, allo stesso tempo, trasparenza e chiarezza sui controlli da eseguire, per facilitare la consapevolezza dei dipendenti sull’argomento e prevenire così il sorgere di eventuali casi di non conformità, nonché istruzioni precise su come implementarli con efficacia ed efficienza. Le verifiche ed i controlli, eseguiti da un team di auditor comprendente anche esperti in materia giuridica e finanziaria, presuppongono e utilizzano documenti di orientamento e supporto che, oltre a comunicare correttamente il contenuto della certificazione, specificano i requisiti relativi a: procedure e linee di condotta anticorruzione; leadership, impegno e responsabilità del Top Management; supervisione della conformità ai requisiti, da parte di funzioni apposite o manager; corsi di formazione anticorruzione; valutazione dei rischi e due diligence per i vari progetti e partner d’affari; controlli in ambito finanziario, commerciale, contrattuale e sui processi di approvvigionamento; reportistica, monitoraggio, indagini e revisioni; azioni correttive e miglioramento continuo. Chi può ottenere la Certificazione ISO 3700? Qualsiasi Organizzazione (piccola o grande, pubblica, privata o non governativa) può costruire un Sistema di Gestione che rispetti i requisiti della norma ISO 37001 e richiedere la Certificazione ISO 37001. Tra l’altro l’ISO 37001 è strutturata secondo lo schema della High Level Structure (HLS) e può dunque essere facilmente integrata con altri sistemi di gestione che l’Organizzazione ha eventualmente già adottato (per esempio l’ISO 9001:2015). Gli obiettivi dell’ISO 37001 sono ovviamente diversi, ma il suo linguaggio e il suo metodo sono comuni ad altri sistemi di gestione. Quali sono i vantaggi della certificazione ISO 37001? Un approccio strutturato è fondamentale per costruire fiducia e trasparenza, gestendo i rischi e salvaguardando, al contempo, la reputazione della tua azienda. La certificazione ISO 37001 supporta gli sforzi del tuo sistema di gestione anticorruzione, verificando che: i requisiti dello standard siano affrontati i controlli necessari siano in atto all'interno della tua organizzazione e in tutta la supply chain l'azienda disponga di procedure adeguate e proporzionate per prevenire attivamente la corruzione il sistema di gestione supporti la conformità con la legislazione anticorruzione applicabile L’ottenimento della certificazione per la ISO 37001 permette agli organismi pubblici e privati non solo di implementare un approccio strutturato rivolto alla prevenzione e al contrasto della corruzione ma anche di dotarsi di un documento di best practice, validato da un organismo indipendente, ostensibile ad interlocutori nazionali ed esteri, sanando finalmente il gap normativo creato in seguito all’introduzione del D.Lgs.231/01 e della legge 190 del 2012 per il settore pubblico, adempiendo agli obblighi legislativi previsti in materia. Il Sistema di Gestione ISO 37001 può infatti offrire un utile supporto per ottenere la conformità al Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PTPC), il principale strumento adottabile dalla PA e dalle Società per favorire il contrasto della corruzione e promuovere la legalità all’interno dell’Organizzazione. Superare positivamente la verifica di conformità allo standard non significa che non esisteranno casi di corruzione o fenomeni collegati ad esso ma solamente che il Sistema di Gestione legato alla ISO 37001 è stato implementato ed utilizzato correttamente (tutto ciò comprende azioni preventive, di controllo e di recupero per situazioni eventualmente compromesse). Come si può ottenere la Certificazione ISO 37001? Per ottenere la Certificazione ISO 37001 bisogna costruire un Sistema di Gestione che rispetti i requisiti dettati dal nuovo Standard ISO 37001. Per costruire questo Sistema di Gestione è innanzitutto opportuno possedere delle competenze diversificate come: Competenze giuridiche nell’ambito del Decreto Legislativo 231/2001. Competenze nell’ambito dei Sistemi di Gestione e nello sviluppo di modelli organizzativi. Competenze di risk assessment e risk management. Ciò, tuttavia, non basta perché queste competenze debbono essere in grado di lavorare insieme. Un’organizzazione che voglia costruire un sistema di gestione per l’ISO 37001 deve sviluppare al suo interno i seguenti temi: Definizione di una policy anticorruzione documentata. Definizione di ruoli e responsabilità del management in materia anticorruzione. Costruzione di un Modello di Analisi del Rischio per individuare processi e attività aziendali maggiormente esposte al rischio di reato di corruzione. Stesura di un Modello Organizzativo e di procedure finalizzate alla prevenzione di reati di corruzione individuati nel risk assessment. Formazione a tutti i livelli dell’Organizzazione sulle tematiche dell’anti-bribery. Attuazione di opportuni controlli e due diligence in ambito finanziario, commerciale, contrattuale e sui processi di approvvigionamento. Pianificazione di una serie di attività di reporting, monitoraggio, auditing e riesame. Gestione delle azioni correttive e delle relative investigazioni finalizzate al miglioramento continuo. Spero come sempre di averti fornito una panoramica completa circa l’argomento trattato, ti ricordo che per qualsiasi informazione io e lo staff di TQSA rimaniamo a disposizione. Alla prossima settimana con un nuovo articolo. Buona giornata!
- Covid 19: fine emergenza sanitaria?
Buongiorno, Caro lettore, bentornato nel nostro appuntamento settimanale sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Oggi torniamo a trattare un argomento che nell’ultimo periodo è passato in secondo piano, ma che ancora oggi ha una certa rilevanza, ovvero quello del Covid. Essendoci stato da poco un cambio dei vertici del governo, ci si poteva immaginare vi sarebbero state alcune novità nella gestione delle normative sulla prevenzione dal Covid, cambiamenti che non hanno tardato ad arrivare. Vediamo insieme quali sono i primi cambiamenti del governo Meloni. Il bollettino Il 29 ottobre è stato l'ultimo giorno in cui il bollettino dei casi di Covid è stato diffuso quotidianamente. Dopo due anni e mezzo (il primo bollettino era datata 23 febbraio 2020) è arrivata la svolta annunciata dal neoministro della Salute Orazio Schillaci: il bollettino sarà d'ora in avanti settimanale. Il prossimo bollettino sarà dunque diffuso a livello nazionale il prossimo 4 novembre. Il 28 ottobre il ministero aveva annunciato la scelta in un comunicato che recitava così: "Il ministro della Salute, a sei mesi dalla sospensione dello stato d’emergenza e in considerazione dell’andamento del contagio da Covid-19, ritiene opportuno avviare un progressivo ritorno alla normalità nelle attività e nei comportamenti, ispirati a criteri di responsabilità e rispetto delle norme vigenti. Pertanto, anche in base alle indicazioni prevalenti in ambito medico e scientifico, si procederà alla sospensione della pubblicazione giornaliera del bollettino dei dati relativi alla diffusione dell’epidemia, ai ricoveri e ai decessi, che sarà ora reso noto con cadenza settimanale, fatta salva la possibilità per le autorità competenti di acquisire in qualsiasi momento le informazioni necessarie al controllo della situazione e all’adozione dei provvedimenti del caso". Le mascherine Prorogato l'obbligo di utilizzo delle mascherine negli ospedali e nelle Rsa. Il nuovo esecutivo era orientato a non rinnovare il provvedimento restrittivo ma, dopo gli inviti alla cautela e alla precauzione arrivati anzitutto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e poi dal mondo sanitario e da diverse Regioni, si è deciso per la proroga e quindi di rinnovare l'obbligo negli ospedali e nelle Rsa per proteggere i più fragili e gli anziani. L'obbligo vaccinale In base alle norme attuali, l'obbligo vaccinale per i medici e i sanitari è scaduto il 31 dicembre. Significa che per lavorare medici, infermieri, operatori sanitari e delle Rsa non dovranno più sottoporsi alla somministrazione vaccinale. In queste ultime ore il ministro della salute ha fatto la specifica richiesta di collocare medici e personale sanitario sprovvisto di vaccinazioni in reparti ove non ci siano pazienti a rischio contagio. Il reintegro dei sanitari NoVax I medici e gli infermieri NoVax saranno reintegrati. Si tratta al momento di 3400 persone allontanate dal posto di lavoro perché inadempienti con gli obblighi vaccinali. Nel momento in cui però decade anche l'obbligo viene meno anche la ragione per tenerli fuori dai reparti. Ad annunciare il reintegro è stato il ministro della Salute Orazio Schillaci in un comunicato del 28 ottobre che recitava: "Per quanto riguarda il personale sanitario soggetto a procedimenti di sospensione per inadempienza all'obbligo vaccinale e l'annullamento delle multe previste dal dl 44/21, in vista della scadenza delle disposizioni in vigore e della preoccupante carenza di personale medico e sanitario segnalata dai responsabili delle strutture sanitarie e territoriali, è in via di definizione un provvedimento che consentirà il reintegro in servizio del suddetto personale prima del termine di scadenza della sospensione". La sospensione delle multe ai NoVax Le sanzioni comminate ai non vaccinati over 50 che non hanno proceduto all'immunizzazione entro lo scorso 15 giugno saranno congelate fino all'estate 2023. Il ministero dell'Economia e delle Finanze ha fatto sapere di aver "terminato la sua istruttoria" e di aver quindi "inviato al Dipartimento per i rapporti con il Parlamento una proposta emendativa ai fini della presentazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge aiuti ter in esame alla camera. La proposta sospende fino al 30 giugno 2023 le attività e i procedimenti di irrogazione della sanzione nei casi di inadempimento dell'obbligo vaccinale Covid-19". Il Green Pass in ospedali e Rsa Negli ospedali e nelle Rsa vige ancora l'obbligo di Green Pass. Molto spesso inapplicato il provvedimento è ancora in vigore e la scadenza è fissata al 31 dicembre 2022. Il nuovo esecutivo non si è ancora espresso su questo punto. Le mascherine al lavoro Il protocollo siglato dalle parti sociali il 30 giugno scorso prevede che nei luoghi di lavoro l'uso delle mascherine non è più obbligatorio, anche se resta un presidio importante per la prevenzione del contagio. L'utilizzo o meno sarà quindi legato al ricorrere di alcune condizioni particolari di rischio: contesti di lavoro in ambienti chiusi e condivisi da più lavoratori; luoghi aperti al pubblico; luoghi di lavoro dove non è possibile il distanziamento interpersonale di un metro per le specificità delle attività lavorative. In tutti questi tre casi è necessario indossare la mascherina. Il protocollo, inoltre, pone a carico del datore di lavoro l'obbligo di assicurare la disponibilità delle mascherine. Le parti sociali, assieme a ministero del Lavoro, della Salute, all'Inail e alle associazioni di categoria si erano date il termine del 31 ottobre. Per una verifica delle nuove disposizioni alla luce dell’evoluzione normativa ed epidemiologica l'incontro è stato fissato al 4 novembre. Spero come sempre tu abbia trovato interessante l’argomento trattato, se ti è sorta qualche domanda non ti preoccupare, commenta qui sotto e saremo più che lieti di risponderti. Seguiranno altri aggiornamenti. Buona giornata, alla prossima!